In coincidenza con le festività di fine anno ebraico, Israele ha vissuto un nuovo periodo di lockdown, a causa dell’aumento di contagi da coronavirus.
Rosh Hashana (19 e 20 settembre) è stata la festa che ha segnato l’inizio del nuovo anno, il 5580. La tradizione vuole che il conteggio parta dalla creazione del mondo e che in questa giornata Dio abbia dato origine ad Adamo, il primo uomo.
Il Capodanno ebraico è stato seguito da un periodo di preghiera, pentimento e preparazione al digiuno di Yom Kippur, il giorno dell’espiazione, iniziato dopo il tramonto del 27 settembre. In questo giorno nessun lavoro è permesso e in Israele a Yom Kippur operano solo i servizi di emergenza e sicurezza.
Dal 3 al 10 ottobre, si è poi celebrata la grande festa di Sukkot (“capanne” in ebraico) che ricorda i quarant’anni di esodo dall’Egitto alla Terra Promessa, vissuti dal popolo ebraico nel deserto, in dimore precarie. In questi giorni tutte le famiglie osservanti usano costruire capanne nei giardini o sui balconi delle proprie case.
La festa di Simchat Tora, letteralmente la gioia della Torah, ha concluso l’11 ottobre le festività ebraiche.
Un periodo di feste vissuto quest’anno in modo del tutto particolare, in un paese stretto nella morsa delle restrizioni anti-Covid tra cui la chiusura di tutti i servizi non essenziali e le sinagoghe in funzione solo per le cerimonie di Kippur.
Ed è un autunno di delusione anche per viaggiatori e pellegrini: le frontiere con Israele, che avrebbero dovuto riaprire già in estate, restano chiuse e non si sa per quanto ancora.
Ma le tante incognite non impediscono di attendere con fiducia momenti più propizi. E mentre il Primo ministro israeliano Netanyahu ha detto che il lockdown ha già dato i primi effetti positivi con una chiara diminuzione di contagi, il Ministero del Turismo israeliano fa sapere che “sta lavorando all’attuazione di misure di sicurezza e organizzative in attesa della riapertura ai viaggi internazionali”.